Più di 70 spazi dedicati in maniera esclusiva e permanente nella sola Milano e circa 110 nel resto d’Italia. Se ancora è presto per parlare di boom, certo è che si sono moltiplicati negli ultimi anni: sono i temporary store, i negozi temporanei, una ‘moda americana’ che sta progressivamente conquistando il nostro paese. “Ma attenzione, gli spazi sono fissi, di temporanee ci sono le insegne delle aziende che cambiano in media ogni 30-40 giorni” spiega all’Adnkronos Massimo Costa, autore del libro Temporary Retailer: verso una nuova professione’ presentato oggi durante il convegno ‘Nuove professioni e antichi mestieri’ a Milano.
Si tratta – continua Costa – di una realtà sempre più diffusa, di una nuova formula di comunicazione e vendita usata da aziende di qualsiasi settore”. Non si tratta solo di affittare uno spazio, ma dare dei servizi alle aziende che si ospitano: servizi di vendita ma anche di comunicazione, organizzazione eventi, design. “Questa è una professione nuova che affonda le radici nel passato, dai venditori ambulanti dei tempi del Re Sole, – sottolinea Massimo Costa – ma che si concilia benissimo con la società attuale, in cui il temporaneo è la cifra distintiva e le aziende hanno bisogno di ottimizzare il tempo con lo spazio e lo spazio con il tempo”.
Ma cosa identifica un vero temporary shop? “Prima regola: non essere un mero outlet o un discount; – spiega Giulio di Sabato, presidente Assomoda – secondo: trasmettere al consumatore la filosofia del brand; terzo: coinvolgerlo in un’esperienza multisensoriale”. Se è vero che la crisi economica può aver dato un impulso per lo sviluppo di queste realtà, secondo di Sabato si tratta in fondo di una “normale evoluzione del settore in una società liquida come la nostra”. Un’evoluzione che può essere “un ottimo viatico per brand emergenti, pmi e giovani designer per farsi conoscere” e un modo per le grandi aziende di “entrare in contatto con il consumatore finale” ha concluso il presidente di Assomoda.